giovedì 30 aprile 2009

EKV. Ekatarina velika

Dedicato a Zeljo e a Sanja.



Gli Ekatarina Velika (in italiano: Caterina la Grande; spesso abbreviato in EKV) sono un gruppo rock jugoslavo, formatosi a Belgrado nel 1982. Sono stati tra i gruppi musicali più influenti e di maggiore successo dell' Ex-jugoslavia. Durante i loro anni di attività hanno costruito intorno a sè un'ampia e solida base di fan, ulteriormente accresciuta dalla morte del leader Milan Mladenovic, avvenuta nel 1994 e causa dello scioglimento della band.
Il nucleo della band era costituito dal cantante e chitarrista Milan Mladenović, dalla tastierista Margita Stefanovic e dal bassista Bojan Pečar, con altri membri destinati a rimanere nella formazione solo per brevi periodi.
Gli Ekatarina Velika, inizialmente chiamati Katarina II (pron.: Katarina druga), si formarono nel Febbraio del 1982 a seguito dello scioglimento dei Šarlo akrobata, influente terzetto di New Wave jugoslava proveniente da Belgrado. Un litigio tra Milan Mladenović e il bassista Dušan Kojić Koja, motori trainanti dei Šarlo akrobata, portò allo scioglimento. Koja formò i Disciplina kičme, mentre Milan e il chitarrista Dragomir Mihajlović Gagi crearono i Katarina II con il bassista Zoran Radomirović Švaba e il batterista Dušan Dejanović. Il gruppo prese ispirazione per il proprio nome da un amore non corrisposto di Mihajlović, una ragazza di nome Katarina.
La sezione ritmica dei Katarina II fu la prima ad abbandonare il gruppo alla fine del 1982, con Radomirović che lasciò per entrare nei Du Du A e Dejanović che si unì agli acerrimi rivali Disciplina kičme. Mango Kuštrin diventò il nuovo batterista. Nel tentativo di arricchire il suono, il gruppo decise di aggiungere anche una tastierista, l'eccentrica Margita Stefanović, pianista di formazione classica. Poiché Kuštrin rimase per appena un mese, Ivan Vdović Vd (compagno di Milan nei Šarlo Akrobata) lo rimpiazzò all'inizio del 1983. Contemporaneamente Bojan Pečar fu reclutato come bassista.
Dopo molti litigi e cambi di formazione, il quintetto Milan, Gagi, Margita, Bojan, and Vd si mise al lavoro per l'album di debutto della band.
Nella primavera del 1983 la band prese parte alla biennale di Zagabria, ricevendo recensioni positive. L'album omonimo di debutto dei Katarina II fu finalmente pubblicato nel 1984. La maggior parte dei testi fu scritta da Mladenović tranne che per "Vrt" (Il giardino) e "Platforme" (Le piattaforme) (scritti da Mihajlović), mentre le musiche erano frutto di una collaborazione tra i due. In pezzi come "Aut" (Fuori), "Jesen" (Autunno), "Radostan dan" (Giorno felice), "Treba da se čisti" (Deve essere pulito) e "Ja znam" (Io so) la band riuscì a legare felicemente la descrittiva sensibilità lirica di Milan con un energico stile New Wave. Spesso considerato uno dei lavori più schietti della band, se non il migliore, l'album non ottenne mai molta popolarità di massa, soprattutto a causa delle sue sonorità alquanto inaccessibili e artistiche, senza spazio per un'orecchiabilità commerciale.
Poco dopo la pubblicazione dell'album la band affrontò altri cambiamenti di formazione. Proprio come nei Šarlo akrobata e ancora prima nei Limunovo drvo, Mladenović e Mihajlović non andarono mai davvero d'accordo e i loro scontri di personalità continuarono. Per di più, Mihajlović ebbe diversi problemi con la legge, finendo perfino in carcere. Una volta uscito, fu informato dai propri compagni che non faceva più parte dei Katarina II. La faccenda, tuttavia, non fini lì. Infatti Mihajlović, rivendicando i diritti sul nome "Katarina II", costrinse la band a cercarne un altro. I restanti membri decisero per Ekatarina Velika ('Caterina la grande', come Caterina II di Russia), o abbreviato EKV.
Inoltre il batterista Vd uscì dal gruppo a causa di problemi di droga, finendo poi nei Du Du A. Il suo rimpiazzo alla batteria fu Ivan Fece Firchie.


Nel 1990 esce il penultimo album degli EKV (Ekatarina Velika), uno dei gruppi più conosciuti ed amati della ex YU. Il titolo dell'album si riferisce ai proiettili esplosivi, cosiddetti "dum-dum" in serbo-croato, vietati dalla Convenzione di Ginevra; in copertina c'è un tizio schizzato a petto nudo che si punta una pistola di grosso calibro alla tempia. L' album è particolarmente tetro, molto dark-rock, a differenza dei lavori precedenti più synth-pop. L'album inizia a circolare all'inizio della guerra civile, la canzone particolarmente gettonata è "Idemo" (Andiamo), parla del risveglio in un incubo, del ponte che è stato distrutto, dei villaggi bruciati, del fiume insanguinato, tutto in un incastro di parole che evocava alla perfezione gli scenari che si stavano aprendo. Si direbbe una profezia, anzi lo è. Poi ogni uno interpreti come vuole il significato di questa parola: l'intuito, una previsione in base alle analisi razionali, il sesto senso, la telepatia, la capacità di cogliere nell'immaginario i sentori di migliaia di persone, non importa. Questa canzone mi rimarrà impressa nella mente come la colonna sonora dei primi bollettini di guerra. Ai tempi non sembrava che in molti cogliessero questa profezia, forse perchè nessuno voleva ancora accettare la dura realtà. Ecco la traduzione, forse un po' grossolana.
(fonte balkanrock.noblogs.org)



Ti si sav moj bol
Par godina za nas (1989)
Ovo je zemlja za nas
Pored mene
Idemo



EKV - Idemo (Dum-dum, 1990)
Lei sogna che ho lavato le mani,
che mi sono raso la barba, che sono bello.
Al caldo, la testa sul cuscino, in dormiveglia,
il profumo della colazione.
Una voce piacevole dall'altra stanza mi giunge,
dice che è iniziato.

Andiamo!

Non sapevamo che il dado fosse tratto,
non sapevamo che il ponte è stato distrutto.
Il fiume scintilla sotto gli stivali,
l'acqua pulita, un po' insanguinata.

Andiamo!

Non sapevamo che i villaggi sono stati incendiati,
non sapevamo che il fuoco è un peccato.
Le nostre mani non sono legate,
le nostre mani non sono traditrici.
Lei sogna che ho lavato le mani,
che mi sono raso la barba, che sono bello.
Al caldo, la testa sul cuscino, in dormiveglia,
il profumo della colazione.
Una voce piacevole dall'altra stanza mi giunge,
dice che è iniziato.
E' iniziato! E' iniziato!
Andiamo!

Una piccola storia a due voci



"Papà mi sono fidanzata!”. È la prima volta che mi confido con lui sull’argomento “amore e dintorni” e sono veramente imbarazzata, ma ho trovato l’uomo della mia vita e proprio devo comunicarlo. Ma torniamo alla telefonata.
Mio padre: “ Ma davvero! E chi è?”. Sarà imbarazzato anche lui?
Io: “Si chiama Ivan, è serbo!”. Ecco, l’ho detto.
E lui: “ Ma è un rom? Vengono tutti da lì! Sicura che non ha le collane d’oro e roba simile?”
E io: “ Beh… no papà!”. Come inizio non mi sembra molto promettente. Ma in qualche modo la telefonata continua e dall’altro capo del filo mi sembra di avvertire un impercettibile allentamento della tensione.
“Ah, va bene… allora raccontami tutto!”.
Ecco, a questa richiesta avrei dovuto essere preparata. Ma come si fanno a raccontare certe cose? Da dove cominciare? In realtà la questione è semplice: ho trovato l’uomo della mia vita. Già questa è una notizia, no?
L’importanza dell’evento mi aveva addirittura spinto a studiare una tattica per conquistarlo, cosa che non avevo mai neanche immaginato di poter fare prima. Al cuore non si comanda, non dicono tutti così? Posso dire, a mia discolpa, che le circostanze in cui ci siamo conosciuti certamente non aiutavano: ero la sua insegnante di italiano! Nella mia testa due pensieri fissi: “wow, quest’uomo lo sposo” e “ non è possibile, toglitelo dalla testa, non si può fare confusione tra sentimenti e lavoro”. Ma per quanto mi sforzassi non sono riuscita a fare altro che sciogliermi ogni volta che mi guardava, o diventare di un bel rosso acceso quando mi faceva una domanda. Credo che tutti gli altri miei alunni lo avessero capito e questo non andava per niente bene. Non era facile gestire in modo professionale le risatine delle mie alunne congolesi, lo sguardo inquisitorio dell’uomo libanese e le occhiate complici della coppia colombiana…

La prima volta che l’ho incontrata ero da un quarto d’ora in attesa che arrivasse l’insegnante di italiano, nella scuola che frequentavo e con la classe eravamo pronti ad andare via quando è arrivata lei, tutta rossa in viso e affannata. Immagino avesse corso molto… Era una supplente e non sapeva da dove cominciare con la lezione, non ci conosceva e non sapeva a che livello eravamo con la lingua. In qualche modo è riuscita ad iniziare e devo dire che ci ha fatto davvero divertire tutti: ci insegnava i nomi degli attrezzi da lavoro con i disegnini, ma lei stessa ne conosceva pochi e cercava di far finta di niente con dei grossi sorrisi, sperando che li conoscessimo noi. Io mi divertivo molto a farle delle domande difficili per potermi gustare le sue scenette e le sue espressioni che facevano tenerezza … insomma è stato uno spasso.
Successivamente è diventata la mia insegnante e devo dire che mi ha rapito il suo modo di affrontare le situazioni, i suoi sguardi quando non riusciva a tenere sotto controllo la situazione e cercava nei miei occhi un aiuto, sperando che le facessi da assistente quando non riusciva a spiegare una cosa. Io a volte la aiutavo e a volte mi divertivo a metterla in difficoltà con delle domande impossibili, tipo: quando si usa il verbo transitivo o intransitivo? E gli ausiliari? Lei mi guardava e mi diceva, tutta rossa: “boh”! A volte ero proprio cattivo.

La soluzione logica era una sola: non potendo (per fortuna) smettere di vederlo, era necessario almeno incontrarsi fuori dalla classe, in una situazione diversa. Ma quello che in circostanze normali sarebbe stato relativamente semplice, diventava molto complicato nel caso di Ivan. Mi trovavo infatti ad essere l’insegnante di italiano di un gruppo di stranieri arrivati in Italia non per studio o per turismo, ma per chiedere asilo politico. I locali dove tenevo le lezioni, unico luogo di incontro per noi, per lui erano allo stesso tempo scuola, mensa, ambulatorio: in poche parole, l’unico punto di riferimento. Non mi sono persa d’animo e alla fine, dopo qualche tentativo fallito, sono riuscita ad invitare lui e un amico a fare una passeggiata insieme, in amicizia.
Non capivo, allora, perché a volte sembrava interessato a me ed altre completamente assente, lontano, indifferente… Avrei dovuto saperlo da subito: quando, molto più tardi, l’ho capito, mi sono sentita così sciocca! Io pensavo solo a lui, a quanto mi piaceva, mentre lui pensava alla vita così precaria che gli si presentava davanti. Non un lavoro, a parte l’ancora di salvataggio della distribuzione dei giornali gratuiti all’alba, che ha aiutato molti (me compresa); non una casa, ma un posto che offriva ospitalità soltanto la sera, ricacciandoti per strada la mattina seguente. Ma, soprattutto, niente soldi in tasca! Non si può invitare una ragazza ad uscire senza poterle offrire nulla.

Ci vedevamo tutti i giorni a scuola ed era diventato un piacere seguire le lezioni. Mi sembrava che lei arrossisse a volte, quando la guardavo. Quanto a me, mi aveva già conquistato. La prima volta che ci siamo visti fuori dalla scuola e abbiamo avuto modo di conoscerci meglio mi sembrava di camminare sulle nuvole, mi sentivo euforico come un adolescente e felice di averla incontrata. Avevo quasi dimenticato il motivo per cui ero lì, o forse il motivo c’era… incontrarla!
Allora mi è sembrato più accettabile tutto: aver passato una settimana, appena arrivato a Roma, in cui non sapevo che fare, dove andare, senza un posto dove dormire se non i binari della stazione. Mi ricordo che passavo le giornate camminando in giro per la città senza la possibilità di comunicare con nessuno, e cantavo da solo per la disperazione. L’unica cosa che desideravo in quei momenti era poter chiamare la mia famiglia e farmi aiutare per tornare a casa. Non mi importava più nulla di quello che mi sarebbe successo lì, volevo solo rivederli… ma non avevo neanche i soldi per telefonare.

Per fortuna alla fine sono riuscita a smuoverlo (che imbarazzo)! Da subito siamo stati una cosa sola e mi ha conquistato, tra le tante sue qualità, la sua dolcezza e la sua educazione, il rispetto e l’attaccamento alla sua famiglia. Il primo giorno da fidanzati ha raccontato tutto a sua sorella, poi a sua madre e via via a tutto il resto della famiglia e mi ha fatto sentire da subito amata da tutti.
Ricordo sempre con un certo imbarazzo la prima volta che ho parlato al telefono con sua madre. Avevo studiato due settimane gli auguri di buon Natale e buon anno da farle in serbo, ripetevo le due frasi che avevo imparato in continuazione e alla fine, prima del momento fatidico, per essere più sicura avevo scritto tutto su un foglietto per evitare di sbagliare… Ovviamente mi sono confusa, mi sono fatta prendere dal panico, mi sono bloccata e non sono riuscita più a proseguire. In fondo non ero partita male: mi erano rimasti solo i saluti e “non vedo l’ora di conoscerla”, invece lei mi ha parlato quando non me lo aspettavo e…PANICO! Ivan rideva, ma a me veniva da piangere! E va bene… è serbo, è normale che mi sono trovata in difficoltà. Ma che dire della telefonata in inglese con sua sorella? In quell’occasione ho sfoggiato il meglio delle mie conoscenze linguistiche… ed è stato uno sfacelo. Ho pensato che probabilmente non avrebbero voluto più conoscermi. Il telefono di Ivan squillava e lui non c’era: ho pensato bene di rispondere io e una voce straniera mi ha parlato in modo incomprensibile. Io ho farneticato qualcosa del tipo “ah… mhmh… no Ivan no”, fin quando lei mi ha detto il suo nome. Allora il mio viso si è illuminato: ero così felice di parlare con la sorella di cui lui mi aveva parlato tanto. Avrei voluto dirle tante cose… Sì, ma cosa, esattamente? E soprattutto, come? Nel dubbio, mi sono limitata a ripetere il suo nome, con un grosso punto esclamativo pieno di gioia e nello stesso tempo meraviglia…
Realizzando poi che le telefonate dalla Serbia costano, con uno sforzo supremo ho tentato di dare dei contenuti alla nostra conversazione. Una luce si è accesa nella mia mente in panne. “Ivan is not here!” Immagino che lei l’avesse già capito e mi ha detto di lasciargli un messaggio salutandomi calorosamente e io “ciao… ciao…ciao”, con un sorriso da ebete! Povera me… per fortuna che sono stati tutti carini e comprensivi con me, Ivan innanzitutto…e beh, è l’uomo della mia vita! E lui, questa storia, come la racconterebbe?

Da quando ho incontrato “lei” ho iniziato ad apprezzare anche la mia vita precaria per le strade di Roma. Ho visto infatti che anche lei viveva secondo orari simili ai miei e che le sue giornate non erano tanto diverse: si svegliava all’alba per distribuire i giornali, andava all’università e poi perdeva tempo a zonzo per la città in attesa che iniziassero le lezioni di italiano. Anche lei si guadagnava da vivere con fatica e sacrifici. Insomma, mi poteva capire. Così ci siamo trovati insieme a bere un cappuccino al bar della stazione, o a sonnecchiare sul prato vicino alla scuola. Ero felice… e lo sono ancora perché è la mia amica e il mio amore e presto diventerà mia moglie.


Fonte Burekeaters

martedì 28 aprile 2009

Saobracajni znaci

Tranquillizzo Zeljo e Sanja: mi sto occupando degli Ekatarina, ma datemi del tempo.
Sono ancora troppo innamorata dei bottoni.
Oggi vorrei parlare di una cosa importante. Non lo sò se lo sarà anche per voi, ma per me lo è stata.
Quando vai nell'est e conosci appena la lingua, ma ti ridono dietro quando parli, sei soddisfatto se riesci a capire le cose essenziali.
Non mi scorderò mai quella volta che mi sono persa a Cacak (una piccola cittadina) e ho telefonato al mio amico : - Ma Lina, solo tu riesci a perderti in queste 4 case ! Dove ti trovi ?
Che bella domanda ! Tutte le scritte in serbo, ma in serbo cirillico e minuscolo (che si differenzia molto da quello maiuscolo!) e nessuno che parla inglese.
Poi un lampo d'ingegno (strano direte voi!). Ho visto una bambina in bici e ho detto : Mileta kuca. Kuca sarebbe casa e Mileta è internazionale. Così, seguendo lei che andava in bici e io dietro di corsa a piedi, sono riuscita ad arrivare alla meta.


Vi do un consiglio importantissimo. Se avete bisogno di un taxi non lo chiamate mai. E' un errore madornale. Arriva un taxista che vi chiede un sacco di soldi e più vi spenna e più si sente di lavorare bene. Se avete bisogno di un taxi mettetevi semplicemente alla fermata dell'autobus. In pochi secondi arriva un taxista che vi propone lo stesso viaggio al costo dell'autobus. Al che chiunque accetta, ma non è poi così conveniente, perchè il taxista riempie il taxi di persone. Così io una volta ho viaggiato con 4 uomini cattivi e il taxista che aveva anche l'aria cattiva. Io ero dietro, in mezzo e non sapevo più come rimpicciolirmi. Capivo qualche battutina proprio per niente carina !! Ma se siete uomini, potete sperare che il taxista riempia l'auto di belle donne e se state in mezzo dietro, magari non vi sentite a disagio !!


Questo cartello non l'ho capito del tutto, ma quando c'è anche la scritta in inglese va bene. La strada Belgrado - Cacak è stata completamente ristrutturata e sono stati messi i segnali stradali nuovi. Questi segnali sono diventati una barzelletta perchè sono in serbo e in inglese, ma l'inglese è tutto sbagliato.


Cartelli come questo ti fanno capire che il tuo professore è un santo. Se hai un prof. che ti spiega cosa è un prefisso e cosa è la radice, sei in grado di interpretare qualsiasi cosa. Se poi il tuo prof dice "ràdice" e non "radìce" e ti fa morire dalle risate ogni volta, ti metti in mente l'origine delle parole.
Perciò "u" vuol dire dentro e "iz" vuol dire provenienza. Izlaziti vuol dire che arrivi da dentro, quindi stai uscendo. Ma anche qui non è tutto così semplice, perchè una volta mi sono trovata ad andare al bagno. C'era la scritta in cirillico e nessun segno. Ho iniziato a pensare: santo prof di Novi Sad, dammi un segno ! E sono entrata in un bagno. Due uomini contro il muro... era quello sbagliato.


Lasciate la chincaglieria a casa !! U kuci !


In Italia ci facciamo tante paranoie per costruire qualcosa, poi magari arriva la legge che ti fa costruire tutto dapperttutto, ma la prima cosa che ci si chiede è : l'impatto ambientale. In Serbia lasciano fare all'ambiente.


Perchè cuvaj se e non pazite, non l'ho mai capito, ma che "cane" si dica "psa" è veramente ridicolo !!
Io poi dicevo sempre "miran" ai miei amici per dire : be quiet e invece ho scoperto che miran lo si dice solo ai cani !!!


Questa va già bene.. è in cirillico maiuscolo.


Questi segnali mi hanno sempre sconvolta, perchè sono in mezzo ad un parco !


Questo segnale è sbagliato. In realtà bisognerebbe andare a destra anche per andare a Uzice e Guca, ma ti fanno fare il giro turistico della città prima di farti uscire.
Ma a proposito di Uzice.. un carissimo saluto affettuoso a Zeljko, che ci segue sempre. Sei grande Zelj !

lunedì 27 aprile 2009

Due sponde, un mare


Ciao LINA,
allora, la manifestazione si chiama "due sponde un mare" ed è un festival culturale del mare. E' iniziato venerdi 24 Aprile con l' inaugurazione della Casa dell'Adriatico, nella Galleria Civica di Termoli, uno spazio aperto a tutti coloro che hanno la passione per il mare. Durerà fino al 2 Maggio. Il programma che si può consultare sul sito www.duesponde-unmare.net è ricco di appuntamenti (dibattiti, proiezioni di film, incontri e concerti....) sia a Termoli che nelle città vicine. Io ho partecipato sabato 25 al dibattito "I love Dubrovnik" nel quale Marijo Dabelic, responsabile del comune di Dubrovnik e Adriana Danicic ci hanno portato idealmente nei vicoli e nelle piazze di questa magica città croata. A seguire, nella splendida cornice del Castello Svevo si è aperta la mostra "I sentieri di Orlando", una raccolta di dipinti di ragazzi di un liceo artistico di Dubrovnik dedicata al mito di Orlando. In serata la proiezione del film documentario "Rotta per Otranto", nel quale la Band Adriatica a bordo di un motoveliero tocca le più importanti città dall'altra parte dell'adriatico e si tuffa nella loro musica dando vita ad un connubio musicale incredibile.


Per finire, un concerto, appunto della Band Adriatica in un locale sul porto. Domenica ancora la Band Adriatica con concerti itineranti alle Isole Tremiti.
A ... dimenticavo, per l'occasione numerosi ristoranti hanno aderito all'iniziativa "Menu Adriatico" creando ognuno un menù diverso ispirato ai sapori del mare, e influenzato dalle tradizioni culinarie dei paesi affacciati sull'Adriatico.
Spero di aver reso l'idea almeno un po'
Ciao ciao Verò.




Due sponde un mare.

sabato 25 aprile 2009

Favoloso Ivano !

Lo scorso 25 Aprile è stata proprio una giornata magica. Penso che la ricorderò per sempre.
Per spiegarvi tutto bene devo prenderla un po’ alla larga, perdonatemi, è un mio difetto.
Ora succede che il 24 Aprile leggo sul muro fb di Ivano Battiston che ha una nuova versione del sito. Mi precipito a vederla e gli faccio i complimenti. Sul sito c’è una particolare icona che mi rimanda al Teatro Regio di Torino. La apro e non vedo nulla di strano. Nel frattempo arriva mia figlia col programma di “Biennale democrazia”, una serie di incontri dedicati alla cultura e alla nostra costituzione. Mia figlia : - Mamma, ma tu non conoscevi un certo Ivano Battiston ?
Si, ha il nuovo sito, come fai a saperlo ?
Ah si ? Ha un nuovo sito ?
Ma perché mi chiedi ?
Perché è al Regio !

Al Reeeeeeeeegggggggggiiiiiiioooooooooooo ??????????? Oh vakka boja !!!


Nell'ambito di Biennale Democrazia e in occasione della Festa della Liberazione, il Teatro Regio ospita alle 21 lo spettacolo Lettere dei condannati a morte della Resistenza, letture di Valentina Sperlì con presentazione di Gustavo Zagrebelsky e musiche a cura di Mario Brunello e Ivano Battiston.

Sono seguite emails, telefonate, sms, attese, finchè alle 19.15 del 25 Aprile inizio la coda davanti allo splendido Teatro Regio di Torino.
Dopo un’ora e mezza di coda, finalmente entriamo. Il colpo d’occhio è favoloso. Veramente non mi ricordavo questo teatro così bello.


Finalmente inizia lo spettacolo e dalle prime note Ivano mi ha conquistata. Io ero in prima fila, si e no a 3 metri da lui. Ad un certo punto l’ho guardato bene perché non si sapeva più dove finiva Ivano e dove iniziava la fisarmonica. Sembra che il cuore di Ivano sia dentro la fisarmonica e che lui respiri attraverso essa.
E’ stata una serata magnifica.


Mi sono scordata di dire chi è Ivano.
Abbiamo dei nuovi adepti nella ciurma e forse non hanno letto il primo post che gli abbiamo dedicato.
Ora, sicuramente voi tutti ricordate quelli che hanno fatto il ratto delle sabine. Ivano ha fatto il ratto della balkanika. E’ andato nei balkani accompagnato dal prode Alessandro Zilli, si è guardato attorno, ha scelto la ragazza più bella che c’era e l’ha letteralmente rubata.
Questo è un furto che abbiamo legalizzato con piacere in uno splendido matrimonio, perché Marina è semplicemente bellissima e bravissima.


Che sorpresa vedere Ivano omaggiato e complimentato nel suo camerino dai più grandi vip torinesi come ad esempio Evelina Cristelen e Lilly Gruber !!!
E che faccia che hanno fatto quando abbiamo registrato il video per balkan-crew. Io penso che Lilly Gruber si sia spaventata del mio inglese. So solo che mi guardavano molto male !!

Alcuni link utili:
Il sito di Ivano.
Il nostro post su Ivano in Balkania.
Il sito di Marina.
E' iniziato così.
E' continuato così
Ed è finito così !
Dedicato a noi !

Svetlana Broz a Torino


Oggi, 25 Aprile 2009, si è svolto a Torino, presso il Teatro Gobetti il meeting con Svetlana Broz.
Nell’incontro è stato presentato il suo libro : I giusti nel tempo del male.
Faccio una piccola premessa. Avevo una gran desiderio di parlare con Svetlana, sentire le sue esperienze che sapevo, molto toccanti, ma oggi mi è caduto il mondo addosso.
Già un piccolo sentore di quello che avrei percepito nell’incontro l’ho avuto all’ingresso, quando dei 30 serbi che avevo invitato non ce n’era neanche uno !!!
Poi durante il dibattito ho sentito la solita frase: “tutta la colpa è stata di Milosevic” !
Al che ho capito che mi sarei dovuta armare della santa pazienza che mi ha ispirato in tanti altri meetings e ho detto la mia frase di sempre : San Fatmir aiutami tu !
Così è stato e, digerito il rospo, tutto il resto dell’incontro con Svetlana è stato magnifico.
Ora c’è una seconda premessa. Svetlana ha trattato molti temi legati alla politica, ma come è accordo tra noi, qui non si parla di politica, o almeno se ne parla il meno possibile.
La politica è l’unica cosa che ci divide, mentre noi vogliamo parlare di cose che ci uniscono, ragion per cui cercherò di dirvi tante belle cose che ho sentito, scivolando sui riferimenti politici (ma sarà un’impresa !!)
L’incontro è stato introdotto da Pietro Mercenaro che ha cercato, tra gli scritti di Primo Levi, alcune storie favolose nei campi di concentramento. Sembra che ove vi sia più “male” vi siano persone ispirate ad un bene supremo.
Così è stato in varie parti del mondo come ad esempio in Ruanda e anche in Bosnia. Svetlana ha raccolto quasi 100 storie di persone che hanno sofferto tremendamente durante il conflitto.
Pensate che dopo tanto materiale raccolto tra interviste e registrazioni, alcuni ladri si sono introdotti in casa e hanno rubato tutto e Svetlana ha rifatto tutto da capo.


Una cosa che mi ha colpito molto è stata che la Broz ha raccolto tante testimonianze per svegliare la coscienza dei ragazzi bosniaci che sono “inerti” e sperano solo di fuggire, ma non fanno nulla per cambiare le cose.
Questo è sicuramente dovuto al fatto che hanno ancora negli occhi la guerra e che non vedono spiragli. Presentare loro delle persone che agiscono con coraggio per il bene, vuol dire mostrargli una strada.
Un’altra bellissima frase che ha pronunciato Svetlana e che ha scatenato uno scroscio di applausi è stata : non mi sento ne croata, ne serba, ne bosniaca, ma mi sento appartenere alla mia terra in cui non siamo divisi per etnie, ma viviamo tutti come fratelli.


Ora vi dico alcune frasi che ho negli appunti perché non riesco a fare tutto il discorso che sarebbe lunghissimo, seppur molto bello :
ci vuole un coraggio civile, una capacità di resistere all’autorità negativa
bisogna ricercare la pace in maniera capillare anche all’interno della guerra, perché guerra e pace non sono due mondi completamente separati
chi non è disposto a far fatica per cercare la pace, a sacrificare qualcosa in nome di essa non è pronto e non vuole la pace
c’è una responsabilità collettiva, ma anche una responsabilità individuale nel cercare la pace…
ognuno deve fare il massimo nel suo piccolo.
Infine Svetlana ha detto una frase meravigliosa :
“ Una bugia detta tante volte in televisione si trasforma in una verità !”
Qui ci siamo guardati tutti e ci siamo riconosciuti nel popolo balkanico che per anni ha sentito dire dai mass media che il vicino di casa poteva diventare il suo peggior nemico.
Il razzismo predicato dai mass media può diventare coscienza. Questo è gravissimo, ma è successo veramente nei balkani e può succedere ovunque.



Qui un breve filmato.

venerdì 24 aprile 2009

Una favola chiamata Mario Bellizzi

In una delle mie tante discussioni con Artur Nura (non trovo pace con quest'uomo anche se ci stimiamo e ci rispettiamo) è arrivato un certo "Mario Bellizzi". In quel momento il nome non mi ha detto nulla, ma la sua maniera di scrivere mi ha subito colpito. Col tempo ho scoperto che è uno scrittore favoloso e ho cercato di intervistarlo in tutti i modi. Ancora non sapevo che Mario è la persona più riservata dell'universo. Così niente intervista. Gli ho chiesto allora di poter parlare di lui sul nostro blog e la risposta è stata : guai a te !
Sucessivamente un bel balletto di tira e molla, finchè un giorno mi trovo sulla mail un bellissimo regalo: il suo ultimo libro !
Io mi sono illuminata d'immenso !
L'ho contattato e gli ho detto : allora Mario posso parlare di te ?
Ma fai un po' quel che vuoi.
Così io ho prepaprato questo post che è rimasto fermo nelle bozze per almeno 10 giorni, perchè nel frattempo ho mandato un altro messaggio a Mario dicendo che avevo pronto il pezzo e lui : guai a te !
Ma oggi ho deciso di fare il fattaccio, perchè ieri Mario ha risposto ad una richiesta di aiuto che ci è stata fatta sulla 5° lezione di albanese.
Così non c'è nulla da fare caro dott. Bellizzi, il suo destino è la celebrità !

Mario Bellizzi è un poeta di lingua Arberesh, una minoranza del sud Italia, ed è nato a San Basile, in provincia di Cosenza. Ha già pubblicato diversi scritti come ad esempio "Chi siamo" e "Bukura morea".
Nel 2008 un nuovo libro : "Good bye, shin vasil"



Questa pubblicazione trae origine da un prezioso lavoro sulla
poesia popolare della comunità di San Basile, curato da Mario
Bellizzi nel 1982, in qualità di amministratore dell’Ente. Era
ormai tempo di dare a quella vecchia Antologia un’adeguata
divulgazione e una rivisitazione accurata, un approfondimento dei
contenuti fruendo anche del contributo della dott.ssa Maria Laurito,
responsabile dello Sportello Linguistico. L’iniziativa, intrapresa e
perseguita fortemente da questa Amministrazione Comunale, mira a
salvaguardare e custodire le espressioni più pregnanti e significative
della nostra identità etnica e linguistica italo-albanese promovendone
il riconoscimento culturale. Il ricordo è un luogo d’incontro e la
poesia è uno dei mezzi più nobili per raggiungerlo; esso ha in sé
una traccia di malinconia perché racchiude il trascorrere del tempo.
Giungervi cullati dal flebile dondolio delle parole seguendo il ritmo
del canto, fa vedere quella malinconia trasformarsi in nostalgia e
il sentimento in speranza. È questa la meravigliosa alchimia della
poesia, anche di quella popolare, che riconduce al passato per
sostenere il nostro incontro con il futuro. In tempi come i nostri,
incerti e confusi, volgere lo sguardo alla tradizione, intesa non come
vincolo o arretratezza, ma come forza propulsiva, è un’attività che
vivifica e rafforza. Anche nei movimenti giovanili, a volte caotici,
alla ricerca di nuovi diritti e di una libertà più visibile, si avverte il
bisogno di uno sguardo al passato, per trovare magari l’entusiasmo
di proiettarsi al futuro. Questo volgersi dolcemente ad un passato
che accomuna, e quindi anche alla tradizione, trasmette un senso di
incompletezza biografica e induce ad un percorso di esplorazione
delle nostre anime e del mondo, da cui non si può che trarre nuova
linfa per progredire.



Questa è una poesia dedicata ad una ragazza albanese costretta a prostituirsi in Italia

Anche tu provieni da un antico paese del mondo
lo stesso dei miei antenati(quelli del XV secolo)
quelli delle tre galee di Andrea Doria
come ai tempi del profugo-clandestino Enea
la prima con drappi e seta, la seconda con pane, vino e olio
la terza con uomini e donne.
Un paese dove Kadarè vuole scorresse l’Acheronte
e le aquile facevano il nido.
Sul tuo volto di luna, Oriente e Occidente,
hai come testimoni dal 400 d.C.
Improbabili navi
la prima con hascisc e kalashnikov
la seconda con prostitute e magnaccia
la terza con bambini e affamati fantasmi
già prigionieri nella preistoria e ora del tardo capitalismo
quello delle paillette e dei quiz
ti hanno portata di notte nei porti di Brindisi, Otranto, …
e poi con sgangherate alfette
nell’archeologia sommessa e violenta
accecante di miseria della Domiziana.
Senza abiti regali, senza diademi, con altri Kanun
Oracoli televisivi in mente
assieme a polacche brasiliane africane
in un bislacco carnevale-Vallja, di mode e colori,
mi chiami con accento balcanico …
Saranda? Kavaja? Durazzo? Valona?
Scutari? Fier? Berat? Tirana?
E mi offri il tuo corpo, il tuo tempo,
per una manciata di dollari.
Forse sei di Berat …
Folate di sentimenti, magma di visioni
incerte metastoriche …
cicli epici, infezioni dell’anima,
assenze di trame, caos, imponderabilità.
Un tragico seme è ciò che posso donarti sorella albanese.
A maggio nelle nostre zone d’ombra
fioriranno le icone rosse di Onufri
e si udiranno i liuti vibrare
con possenti e dolci corde di mare Jonio.




Le foto sono di Mario Bellizzi e ci sono state prestate per sua gentile concessione.

giovedì 23 aprile 2009

Hajdemo u planine (Balkania)




Et voilà !!!
E' bastato un breve appello e mi sono arrivate tante, tantissime foto.
La Balkania è bellissima !
Devo fare dei ringraziamenti:
- a Sanja soprattutto !
- a Domenico, Zeljo, Vladan e i suoi amici turisti allo Zlatibor
- a Dejan per le foto di Dojkinci, sopra Pirot, con le bellissime gallinelle nere
- naturalmente al mio amico FIKY, impareggiabile montanaro !
Aspetto ancora altre foto e più me ne mandate, più gli amici che stanno scegliendo i posti in cui andare in ferie avranno possibilità di scegliere questi magnifici luoghi.
Ecco il video.

martedì 21 aprile 2009

BOMBARDAN

Zivko Markovic, Oskar Freysinger e Miodrag Lukic


Sabato sera sono stata ad una serata organizzata dal gruppo “Pozoriste duga”
Hanno invitato il politico svizzero Oskar Freysinger, che è uno dei pochi politici in Svizzera, che si è opposto all'indipendenza del Kosovo. (A me ricorda un po' Nik Sloter del post qui)

Freysinger è anche poeta, scrittore, cantante e ha proposto dei pezzi del suo repertoire. Infatti lui ha scritto un libro che è finito sulla lista bestseller in Serbia ed è membro dell'associazione degli scrittori serbi. Il libro si chiama: "Schachspirale" in serbo: "Spirala šaha" (vedi
qui).
Oskar porta il lettore ad esplorare la più grande e spietata partita di scacchi dell'umanità: la rivoluzione russa!

Il gruppo di "Pozoriste duga" è riuscito così a fare il ponte tra la cultura serba è quella svizzera, proponendo pezzi serbi in tedesco e pezzi svizzeri in serbo. Ma ai giornalisti svizzeri sembra che dia fastidio ciò, infatti ne scrivono sempre malissimo, perchè Oskar e i serbi hanno una cosa in comune: hanno una reputazione orrenda in svizzera!

Tralaltro Oskar ha presentato una cosa interessante, ovvero 18 cartoline fatte in memoria dei bombardamenti NATO sulla Serbia di 10 anni fa. Le stampa una piccola ditta della Svizzera francese e sono molto belle.
Ecco qui il flyer da scaricare.
Qui dei ritagli delle 18 cartoline.
Il sito si chiama www.bombardan.com (andate un po' a curiosare)

domenica 19 aprile 2009

Favoloso Umberto (seconda parte)

Dopo un paio di giorni passati a Nis, tra la fortezza turca e le rovine romane, mi avviai verso Studenica.
La strada da percorrere era tanta e scelsi la cittadina di Aleksandrovac come un buon posto per affrontare la notte.
Per arrivarci dovetti percorrere numerosi tornanti, in una discesa che spesso sfiorava la folta vegetazione che sporgeva sulla stessa strada come tante braccia protese verso di me.
Scelsi di alloggiare nell’unico hotel allora disponibile, un vecchio edificio di chiaro stampo comunista, con larghe scalinate e ampi corridoi. La camera, seppur grande, era davvero spartana. Ma a me bastava.
La sera me ne andai in giro, e, per una tranquilla cena, m’infilai in uno dei ristorantini che si affacciavano sul sinuoso corso principale del paese.
Aleksandrovac, capoluogo del distretto di Zupa, così come tutta la zona circostante, è famosa per i suoi vini e ne provai subito l’ottima qualità quando il proprietario del locale mi offrì subito un buon bicchiere di rosso. Mi raccontò nel suo inglese zoppicante che il paese, per tutto l’anno fin troppo tranquillo, si animava improvvisamente nel periodo della vendemmia, quando venivano addirittura organizzate delle feste paesane per intrattenere i numerosi ospiti che accorrevano a prestare la loro opera per la raccolta dell’uva.
E mi narrò di una vecchia leggenda, secondo la quale il principe Lazar Hreblijanovic, prima di partire per la battaglia di Kosovo Polje, ricevette l’eucaristia con il vino prodotto ad Aleksandrovac. Avevo intessuto il mio sapere di altre storie e leggende. In fondo son proprio le leggende che creano la storia.


L’indomani mattina, dopo un’abbondante colazione con fette di pane spennellate di marmellata, partii alla volta di Studenica.
Risalii i tornanti che avevo disceso il giorno precedente e mi immessi sulla strada che intersecava la valle dell’Ibar, in direzione di Usce, piccolo villaggio nei cui pressi sorgeva il complesso monumentale di Studenica.
Mi trovavo adesso nella Raska, uno degli stati medievali da cui ebbe origine il primo nucleo storico della vecchia Serbia. La strada, dopo alcuni chilometri riprese a salire, e mi trovai immerso in fitti banchi di nebbia che non facevano altro che rendere ancora più magica l’atmosfera. Le spirali di foschia sbattevano leggere contro i vetri dell’auto e gonfiavano l’aria d’umidità.
Tutt’attorno a me nient’altro che il silenzio, amplificato dalle particelle in sospensione. Provai ad immaginare cavalli e cavalieri che sbucassero dal nulla. Il tempo, un’altra volta ancora, aveva perso il suo significato.
Avanzavo lentamente, sforzandomi di seguire i bordi della strada. Non incrociavo spesso altre automobili ma solo diversi carretti tirati dai cavalli che procedevano a passo d’animale.
Poi il sogno svanì, nello stesso istante in cui sbucai fuori dall’ovatta che la nebbia aveva creato. Dopo l’apnea ricominciavo ad annusare l’aria.
Il cammino proseguì per qualche altro chilometro finchè la strada non trovò respiro in un ampio spiazzale. Ma soprattutto sopra di me era tornato a splendere il sole. La giornata adesso si mostrava in tutta la sua serenità.
Scesi dall’auto. Ne sentivo proprio il bisogno. Con passo tranquillo mi avviai verso le mura del monastero che, seminascoste dalla vegetazione, avevano difficoltà ad offrire ai miei occhi il loro percorso circolare. Anzi, vista la leggera elevazione rispetto al piano, offrivano della loro presenza solo impercettibili segnali.
Iniziai a salire i lunghi gradini di pietra levigata, infestati dall’erba, e man mano che mi avvicinavo vedevo apparire le mura nella loro forma definitiva. Arrivai all’ingresso. Le mura in effetti erano relativamente basse, ma il loro profilo si addolciva man mano che esse giravano attorno alla loro stessa circonferenza.


La prima cosa che mi colpì, una volta entrato, fu la luminosità dell’intero complesso.
Tre chiese, una centrale alta e possente e due più piccole che le stavano attorno come satelliti.
Le cupole rosse spiccavano dai tetti chiari, grigi come fumo di nuvole, mentre le pareti esterne mostravano il colore della stessa pietra con la quale erano state edificate molti secoli prima.
Presi a gironzolare attorno agli edifici, seguendo il selciato del sentiero che, sparendo e riapparendo tra i ciuffi d’erba, sembrava dividere in settori i vari angoli della spianata verde.
La chiesa centrale, la chiesa della Vergine, con i suoi archi d’ingresso intarsiati di bassorilievi in marmo, era quella dove riposavano le spoglie mortali di Sv.Simeon, capostipite della dinastia dei Nemanja e padre di Sv.Sava, fondatore della chiesa autocefala serba. Il nome di battesimo di Sv.Simeon era appunto Stefan Nemanja, ed era stato colui che aveva fatto edificare, come sua offerta a Dio, il monastero di Studenica. E che aveva scelto come sua ultima dimora. Una scelta caduta proprio su un luogo che a me in quei momenti appariva come un vero paradiso sulla terra.
La chiesa dominava quel sito, la cui superficie mi sembrò ben più estesa di quelli che avevo precedentemente visitato. Mi sorprese la bellezza degli affreschi e il loro stato di conservazione che mi permise di notare anche alcune iscrizioni in serbo antico che andavano ad aggiungersi a quelle tradizionali in greco.


Le due chiese più piccole mi mostrarono altre sorprese.
La più grande delle due, la chiesa Reale, una vera e propria galleria di ritratti, mi consentì di ammirare i volti di Sv.Simeon e di suo figlio Sv.Sava, e quelli del re Milutin e della di lui consorte Simonida. Avevo letto di quei personaggi tra i miei libri di storia serba, ma finalmente potevo loro dare un volto vero. Un volto ammirato con i miei stessi occhi.
La chiesetta di Sv.Nikola mi mostrò invece solo affreschi disgregati dal tempo e difficilmente distinguibili se non con una buona illuminazione.
Prima di abbandonare quel luogo mistico, lasciai spaziare il mio sguardo lungo le colline ed i boschi che circondavano il complesso di Studenica. L’effetto tridimensionale che ne ricavai mi diede la sensazione che il monastero e la sua cinta muraria restassero sbalzati dal resto, mentre la luce proiettava le verdi colline come uno sfondo in profondità.
Lasciai Studenica a malincuore ma con l’anima piena di gioiosa serenità. Avevo deciso, tra un pensiero e l’altro, di arrivare a Kragujevac prima di sera, senza però rinunciare ad una degna visita al monastero di Zica, sede originaria del patriarcato serbo-ortodosso.
E così fui di nuovo sulla strada.
Iniziai a costeggiare il corso del fiume Ibar, lungo un cammino stretto tra le sue gole ed enormi batoliti di roccia. Facendo occhio a non perdere la destra ammiravo le sue acque fangose scivolare tra detriti e rami spezzati, ed insinuarsi come serpenti tra la bassa vegetazione.


Poi, proprio su un’ansa del fiume, ecco innalzarsi la collina con le rovine della fortezza di Maglic, edificata circa ottocento anni prima e utilizzata per dominare la vallata.
Mi fermai ad una piazzola di sosta. Da quel punto non era possibile raggiungerla che con lo sguardo. Ma il fascino, l’ancestrale e guerriero fascino che emanava ancora, arrivava fino a me da quelle mura diroccate.


Ripresi la strada, e stavolta arrivai senza altre soste fino a Zica.
Com’era diverso il monastero rosso di Zica da tutti quelli che avevo sin lì visitato. Colorato in rosso in memoria dei martiri della fede, splendeva come un rubino incastonato in un diadema di smeraldi.
C’era molta gente che entrava e usciva, ed il posto non era isolato come gli altri. Sapeva più di chiesa che di fortezza. Ma il suo splendore era dettato proprio dal colore delle mura dell’edificio centrale, un rosso mattone pastellato così denso e fresco che a guardarlo ti dava l’impressione che se gli avessi passato un dito sopra te lo avrebbe macchiato. La cupola squadrata, orlata di bianco così come i bordi e le grate delle finestre, era contrapposta al campanile. Agli angoli della chiesa sorgevano pini maestosi e piccoli abeti, che sembravano tracciarne e stabilirne la posizione ed il perimetro, come i punti che un architetto traccia sul foglio millimetrato prima d’iniziare un disegno. Il contrasto tra i due colori dominanti, il rosso dell’edificio ed il verde degli alberi, creava un colpo d’occhio pieno d’effetto.


La storia serba anche qui aveva scritto pagine importanti. Re Stefan Nemanja in questa chiesa era stato incoronato, mentre un’altra leggenda raccontava che per ogni nuovo sovrano della dinastia era stata aperta una nuova porta.
Mi avviai soddisfatto verso la mia piccola grande auto, compagna di strada e di polvere, e ripresi il cammino. In un paio d’ore contavo di arrivare a Kragujevac, dove il giorno seguente mi sarei recato a visitare l’immenso parco Sumarice col doloroso memoriale d’ottobre.
Ma questa è un’altra storia.

Umberto Li Gioi


Lingua slovena. Lezione 4

Innanzitutto voglio augurare una buona Pasqua a tutti i "pravoslavci" e poi mi butterei subito su:

LE DECLINAZIONI (Sklanjatev)
Le declinazioni regolari slovene sono 4:
- Maschile
- Prima declinazione femminile
- Seconda declinazione femminile
- Neutro

La declinazione comprende sei casi:
- Nominativo (Imenovalnik) risponde alla domanda chi?/che cosa? (Kdo?/Kaj?)
- Genitivo (Rodilnik) risponde alla domanda di chi?/di che cosa? (Koga?/Česa?)
- Dativo (Dajalnik) risponde alla domanda a chi?/a che cosa? (Komu?/Čemu?)
- Accusativo (Tožilnik) risponde alla domanda chi?/che cosa? (Koga?/Kaj?)
- Locativo (Mestnik) risponde alla domanda presso chi?/presso che cosa (Pri kom?/Pri čem?)
- Strumentale (Orodnik) risponde alla domanda con chi?/con che cosa? (s kom?/s čim?). Risponde anche alla domanda per mezzo di chi?/mediante che cosa?.

Vediamo ora la prima delle tre declinazioni:
Maschile
Stol (sedia)
Singolare
N. Stol
G. Stol-a
D. Stol-u
A. Stol
L. Pri stol-u
S. S stol-om

Duale
N. Stol-a
G. Stol-ov
D. Stol-oma
A. Stol-a
L. Pri stol-ih
S. S stol-oma

Plurale
N. Stol-i
G. Stol-ov
D. Stol-om
A. Stol-e
L. Pri stol-ih
S. S stol-i

Piccola regola MOLTO importante:
Nello strumentale si usano le preposizioni S e Z. Entrambe hanno lo stesso significato, ma si usano in maniera differente: si usa la S davanti a sostantivi, aggettivi, pronomi e numerali che iniziano per c, č, f, h, k, p, s, š, t. La Z si usa in tutti gli altri casi.

Questo è tutto per oggi
Na svidenje!

venerdì 17 aprile 2009

Srecan Uskrs !




Hristos voskrese ! Vaistinu voskrese !

Wishes !

giovedì 16 aprile 2009

Bosnian graffiti. Ms. Larsen


Dopo il successo ottenuto dalla prima personale a Roma, presso la Galleria Giulia, col patrocinio morale dall'Ambasciata di Bosnia ed Herzegovina, la mostra fotografica BOSNIAN GRAFFITI di MS LARSEN, una delle protagoniste della straight photography italiana, viene ora presentata da Zuni Art Club di Ferrara in un nuovo allestimento. In questa mostra l'artista pone l'obbiettivo sulla Bosnia Herzegovina e precisamente sulla "street art" del dopoguerra, focalizzando le ferite inflitte agli edifici, ai simboli culturali del genocidio e ai graffiti lasciati dai sopravvissuti. Le fotografie in mostra colgono lo spettatore di sorpresa riportandolo alla riflessione su una guerra dimenticata. L'artista fissa con la sua macchina fotografica scritte sui muri, graffiti metropolitani, edifici distrutti insieme alle immagini della quotidianità. La percezione dell'artista diventa parte integrante dell'opera, lo stimolo visivo si trasforma in impulso intellettuale, Ms Larsen usa in modo secco e crudo la fotografia, senza uso di foto ritocco, soffermandosi sui dettagli, sulla costruzione emotiva e sull'identità di un popolo che non vuole dimenticare e, allo stesso tempo, è proteso verso il futuro. Il suo modo di utilizzare la macchina fotografica ne fa un' artista curiosa ed incline alla sperimentazione. MS LARSEN utilizza spesso apparecchi lomografici, vintage cameras e rullini scaduti. Nel settembre 2008 ha pubblicato un libro dal titolo "Remember and Warn" frammenti di vita urbana e quotidiana.



MS LARSEN è nata a Modena nel 1972, si trasferisce giovanissima in Danimarca, vive e lavora tra l'Italia e l'Europa dell'Est. Le sue fotografie sono state pubblicate su magazines internazionali ed utilizzate per la campagna pubblicitaria “Make History” di Lee Jeans. La Larsen è vocalist della nota gothic pop band “Lunacy Box”.

Qui maggiori informazioni.
La mostra sarà inagurata oggi, 17 Aprile 2009, presso il Circolo Arci di Via Ragno 15 a Ferrara e rimmarà aperta fino al 10 Maggio.

mercoledì 15 aprile 2009

христос воскресе - la Pasqua Serbo-ortodossa



Gli ortodossi festeggiano la Pasqua sempre dopo la prima luna piena di primavera, cosi la data non corrisponde quasi mai alla Pasqua cattolica.
(Quest'anno la domenica di Pasqua è il 19.04.2009)


Le festività pasquali sono momenti di festeggiamenti in famiglia, con ottime pietanze e giochi per bambini un po' come da noi. Ma nei balkani un po' di più, come si festeggiava una volta, con un po' meno mega-uova di cioccolato con carte metallizzate e sorpresa dentro e conigli di cioccolato al gianduja, ma un po' di più uova di gallina domestica e coniglietto vero che per una giornata lo si lascia un po' correre per il giardino per la gioia dei bambini.


L'aria di Pasqua la si sente già una settimana prima della Domenica di Pasqua, cioè durante la "settimana delle palme" la settimana della sofferenza di Cristo e quindi di magro, (ho spiegato il cibo di magro, posna jela, della chiesa ortodossa qui nel post sul Natale) che culmina domani al "veliki petak" (il Venerdi Santo).


la chiesa di Grdelica
(dintorni di Leskovac, Serbia del sud)

Il Venerdi Santo è il giorno in cui si colorano e decorano le uova. Tradizionalmente le uova si colorano con le bucce di diversi tipi di cipolla che danno varie tonalità di rosso, e per decorazione si fermano foglie oppure petali con una garza (o calza di nylon) che si toglie dopo aver tinto le uova nelle cipolle. Cosi rimangono dei bellissimi disegni. Ma non c'è limite alle decorazioni!
Certe uova sono dei veri capolavori! Guardate che esempi qui, qui e qui.

Inserisci link
Alla mattina della domenica di Pasqua ci si saluta con " Hristos voskrese" (Cristo è risorto) e si va a messa.
Il pranzo di Pasqua è ricco e festoso:
agnello, maialino arrosto, sarme, affettati, salami, salsiccie, pane, tursija, ajvar, focacce, kajmak.....e come in Italia c'è la colomba in Serbia c'è lo "uskrsni kolac" )

Eccovi qualche ricetta pasquale proposta dalla nostra amica Dragana:
dei dolcetti pasquali oppure questi coniglietti e la treccia di Pasqua.

Queste invece sono le mie foto della Paqua dell'anno scorso. Ho festeggiato a Kovaceva Bara (un villaggetto vicino a Grdelica) con la famiglia di mio marito.





Ma la cosa più divertente (non solo per i bambini) sono le battaglie di uova (ne ha parlato anche Lina qui). L'uovo che vince lo si tiene fino alla Pasqua dell'anno dopo..si dice che protegga la casa, i suoi inquilini ed il bestiame.

Con questo post auguro a tutti i miei cari amici ortodossi una buona Pasqua!

Желим свим пријатељима српске православне вере срећне ускршње празнике
христос воскресе!