Il 12 Giugno 2002 è una data che mi ricorderò per lungo tempo.
Quel giorno sveglia all’alba, le ultime cose messe in valigia velocemente e via alla stazione.
Mi ricordo il mio cuore che palpitava a 1000 e mio marito bianco come un lenzuolo.
Partivo per la Serbia. Era il mio primo viaggio senza la mia famiglia ed era il culmine di un percorso durato 3 anni. Più che un percorso era stato un calvario.
Avevo iniziato a parlare con la Serbia per radio 3 anni prima, quando i radioamatori italiani aiutavano quelli serbi ogni qual volta partiva un caccia da Aviano.
I radioamatori serbi erano diventati bravi e sapevano già dove i caccia sarebbero andati a colpire in base al posto in cui entravano in Serbia.
Ma torniamo al mio calvario. Gli anni 1999/2000 non sono stati facili per la mia famiglia.
Mio marito aveva perso il lavoro e io ero arrivata a sfiorare l’anoressia per dei problemi con i miei genitori .
Più e più volte avevo cercato di andare in Serbia a conoscere i radioamatori che conoscevo solo tramite la mia stazione radio. Tutti cercavano di mettermi i bastoni tra le ruote per non farmi partire. In particolar modo la polizia. Quando sono andata in questura con mio marito per il passaporto , la poliziotta si è rivolta a lui urlando :- dappertutto, anche a Cuba, ma non la mandi in Serbia, sono tutti criminali !
Poi un giorno, sfruculiando in internet, leggo la storia di Vera Novakovic. Subito mi balenò l’idea che avevo trovato una via di uscita.
Così quel 12 Giugno sono andata in treno fino a Treviso e poi in macchina con Vera fino a Cacak.
Che viaggio è stato ! Ero autista di una missione umanitaria. Già la cosa mi sembrava più grossa di me. La macchina era talmente strapiena che non riuscivo a frenare. Tre frontiere ed a ogni frontiera perquisizioni a tappeto. In Croazia Vera mi mostrò i campi minati ancora delimitati da un nastro rosso.
A Belgrado arrivammo di notte. Dall’autostrada entrammo subito nella via del fumo. Otto palazzi presidenziali sventrati dalle bombe. Davanti ad un palazzo c’era ancora la scritta : “Si consiglia ai passanti il marciapiede opposto. Il palazzo è un obiettivo militare”
Io avevo il cuore in gola. Ma come … era tutto diverso dal sofà di casa mia. Mi ricordo di aver pensato che la dovevamo far pagare a quei serbi cattivi. Quella sera ho pianto tanto anche se non mi sono fatta accorgere da nessuno.
Siamo stati ospitati da un parente di Vera, un ambasciatore in pensione. Un bravissimo uomo che mi ha detto :- Questa è casa tua , ma fai attenzione al rubinetto del bagno che è rotto.
Io appena entrata in bagno ho aperto il rubinetto e l’acqua è schizzata al soffitto.
Cosi’ quel povero anziano serbo era sulla porta del bagno che mi guardava con compassione , scuotendo la testa e dicendo : - italiani, puhah !
Il giorno dopo a Cacak ho finalmente conosciuto i miei amici radioamatori.
Seduti ad un tavolo di un caffè e davanti ad un bel caffè turco (che roba la prima volta !!!) guardavo i miei amici e mi chiedevo se quelli erano i serbi cattivi.
Uno di loro mi colpiva in particolare. Era giovane , ma sembrava avere 50 anni. Aveva le dita dei piedi fuori dalle scarpe consumate ed era senza denti. Lavorava dalle 7 di mattina alle 3 del pomeriggio in fabbrica per 36 euro mensili. Dopo il primo lavoro andava a fare l’imbianchino, l’idraulico, l’elettricista, il meccanico e qualunque cosa gli permettesse di riuscire a mangiare qualcosa. Quel ragazzo aveva 2 lauree in ingegneria e non sapevo sarebbe diventato come un fratello per me.
Da quel lontano giorno le cose sono cambiate. Adesso vado in Serbia tutti gli anni. Mi sento più sicura che nel mio quartiere. Non esiste la microcriminalità, almeno nella piccola cittadina di Cacak.
Quel che trovo la è la situazione , piuttosto surreale, dei nostri tempi di guerra, quando ci si aiutava l’un con l’altro.
Mi ospitano nelle loro povere case e mi danno un piatto di minestra fatto con le verdure del giardino, ma è tutto ciò che hanno e per me ha un valore infinito.
Un giorno in una casa povera ho visto la padrona di casa arrivare con delle tazzine da caffè comprate al mercato.
La signora era andata al mercato facendo circa 2 km a piedi ed era tornata stanca morta con la spesa. Io ho fatto lo sbaglio di dire : Che belle quelle tazzine !
E lei :-Sono tue ! Ma la signora che non aveva i soldi per l’autobus ci avrebbe messo altri 6 mesi di sacrifici per ricomprarsi le tazzine, così ho provato a rifiutare.. ma nulla da fare. Ho dovuto prendermi le tazzine che conservo come delle reliquie.
C’è un’ultima soddisfazione che mi devo prendere: tornare da quella poliziotta che mi voleva mandare a Cuba per dirle che mentre io viaggiavo su e giù per i balkani pericolosi, due nostri connazionali sono morti proprio a Cuba
Quel giorno sveglia all’alba, le ultime cose messe in valigia velocemente e via alla stazione.
Mi ricordo il mio cuore che palpitava a 1000 e mio marito bianco come un lenzuolo.
Partivo per la Serbia. Era il mio primo viaggio senza la mia famiglia ed era il culmine di un percorso durato 3 anni. Più che un percorso era stato un calvario.
Avevo iniziato a parlare con la Serbia per radio 3 anni prima, quando i radioamatori italiani aiutavano quelli serbi ogni qual volta partiva un caccia da Aviano.
I radioamatori serbi erano diventati bravi e sapevano già dove i caccia sarebbero andati a colpire in base al posto in cui entravano in Serbia.
Ma torniamo al mio calvario. Gli anni 1999/2000 non sono stati facili per la mia famiglia.
Mio marito aveva perso il lavoro e io ero arrivata a sfiorare l’anoressia per dei problemi con i miei genitori .
Più e più volte avevo cercato di andare in Serbia a conoscere i radioamatori che conoscevo solo tramite la mia stazione radio. Tutti cercavano di mettermi i bastoni tra le ruote per non farmi partire. In particolar modo la polizia. Quando sono andata in questura con mio marito per il passaporto , la poliziotta si è rivolta a lui urlando :- dappertutto, anche a Cuba, ma non la mandi in Serbia, sono tutti criminali !
Poi un giorno, sfruculiando in internet, leggo la storia di Vera Novakovic. Subito mi balenò l’idea che avevo trovato una via di uscita.
Così quel 12 Giugno sono andata in treno fino a Treviso e poi in macchina con Vera fino a Cacak.
Che viaggio è stato ! Ero autista di una missione umanitaria. Già la cosa mi sembrava più grossa di me. La macchina era talmente strapiena che non riuscivo a frenare. Tre frontiere ed a ogni frontiera perquisizioni a tappeto. In Croazia Vera mi mostrò i campi minati ancora delimitati da un nastro rosso.
A Belgrado arrivammo di notte. Dall’autostrada entrammo subito nella via del fumo. Otto palazzi presidenziali sventrati dalle bombe. Davanti ad un palazzo c’era ancora la scritta : “Si consiglia ai passanti il marciapiede opposto. Il palazzo è un obiettivo militare”
Io avevo il cuore in gola. Ma come … era tutto diverso dal sofà di casa mia. Mi ricordo di aver pensato che la dovevamo far pagare a quei serbi cattivi. Quella sera ho pianto tanto anche se non mi sono fatta accorgere da nessuno.
Siamo stati ospitati da un parente di Vera, un ambasciatore in pensione. Un bravissimo uomo che mi ha detto :- Questa è casa tua , ma fai attenzione al rubinetto del bagno che è rotto.
Io appena entrata in bagno ho aperto il rubinetto e l’acqua è schizzata al soffitto.
Cosi’ quel povero anziano serbo era sulla porta del bagno che mi guardava con compassione , scuotendo la testa e dicendo : - italiani, puhah !
Il giorno dopo a Cacak ho finalmente conosciuto i miei amici radioamatori.
Seduti ad un tavolo di un caffè e davanti ad un bel caffè turco (che roba la prima volta !!!) guardavo i miei amici e mi chiedevo se quelli erano i serbi cattivi.
Uno di loro mi colpiva in particolare. Era giovane , ma sembrava avere 50 anni. Aveva le dita dei piedi fuori dalle scarpe consumate ed era senza denti. Lavorava dalle 7 di mattina alle 3 del pomeriggio in fabbrica per 36 euro mensili. Dopo il primo lavoro andava a fare l’imbianchino, l’idraulico, l’elettricista, il meccanico e qualunque cosa gli permettesse di riuscire a mangiare qualcosa. Quel ragazzo aveva 2 lauree in ingegneria e non sapevo sarebbe diventato come un fratello per me.
Da quel lontano giorno le cose sono cambiate. Adesso vado in Serbia tutti gli anni. Mi sento più sicura che nel mio quartiere. Non esiste la microcriminalità, almeno nella piccola cittadina di Cacak.
Quel che trovo la è la situazione , piuttosto surreale, dei nostri tempi di guerra, quando ci si aiutava l’un con l’altro.
Mi ospitano nelle loro povere case e mi danno un piatto di minestra fatto con le verdure del giardino, ma è tutto ciò che hanno e per me ha un valore infinito.
Un giorno in una casa povera ho visto la padrona di casa arrivare con delle tazzine da caffè comprate al mercato.
La signora era andata al mercato facendo circa 2 km a piedi ed era tornata stanca morta con la spesa. Io ho fatto lo sbaglio di dire : Che belle quelle tazzine !
E lei :-Sono tue ! Ma la signora che non aveva i soldi per l’autobus ci avrebbe messo altri 6 mesi di sacrifici per ricomprarsi le tazzine, così ho provato a rifiutare.. ma nulla da fare. Ho dovuto prendermi le tazzine che conservo come delle reliquie.
C’è un’ultima soddisfazione che mi devo prendere: tornare da quella poliziotta che mi voleva mandare a Cuba per dirle che mentre io viaggiavo su e giù per i balkani pericolosi, due nostri connazionali sono morti proprio a Cuba
Lina,
RispondiEliminaSono assolutamente senza parole. L'unica cosa che posso dire è GRAZIE!
Dusan
grazie a voi !
RispondiEliminasiete voi che avete salvato me, io per voi riesco a scrivere solo qualche riga !
hahaahaha! un polizziotto italiano che dice che in serbia sono tutti criminali... e parte la sigla del "Padrino" .. che faccia tosta.
RispondiEliminaDarko