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Kraljevo del dopo terremoto è provata, ma dignitosa e attiva, come lo sono molti dei suoi Serbi. Di certo non si sono pianti addosso per riprendersi, la città vive la sua quotidianità. Il problema delle “case” distrutte in questo paese martoriato negli anni, torna come un destino, a cui io non ho mai creduto. Diciamo allora, una impietosa fatalità. La situazione forse non è drammatica, ma i danni sono notevoli, e gli sfollati pure…
Il “passaggio” Kosovo ti prende l’anima, ti strapazza il cuore e confonde la testa, appare cosa più grande di te, e lì, le “case” e le “icone” ne restano simbolo e triste realtà, per una minoranza, quella serba, che vive di pochissima cosa e di quale futuro. Ma soprattutto stanchi, stanchi della guerra “che uccide da tutte le parti e se ci si mette d’accordo, si vive tutti” dice uno di loro. Stanchi della politica, che questa guerra l’ha voluta e portata. Tra Serbi e Albanesi che vivevano vicini di casa quanto meno nel rispetto, prima e dopo. Stanchi della paura, che non li fa dormire ancora la notte, sentinelle di improvvise rapine di quel poco che hanno.
Mi restano impresse le semplici parole di Novka, per la prima volta in visita al Monastero di Dečani: “qui è tutto quello che mi ha insegnato mio padre, che sono Serba e che sono ortodossa”.
Ma anche le belle parole di ringraziamento scritte da una ragazzina di 11 anni, in una galleria di cose sacre che visitiamo nella località di Zvečani : “Le cose sacre migliorano l’anima e sono l’arricchimento della fede; rallegrano la nostra creatura, la quale sta davanti a loro (le sacre) le quali sono le finestre nella eternità attraverso cui ci sta guardando il Signore. Il nostro popolo disse: la casa in cui non c’è un’icona non è una casa”.
Allora la mia non è una casa, forse io non ho una casa, mi sento come quel gattino nella tenda da campo, dimora di quei Serbi rientrati in Kosovo che aspettano le loro case in mattoni da 8 mesi. Forse mi basta un po’ di calore e una mano a sorreggermi ogni tanto, forse…. Ma forse è che la mia è storia solo più fortunata, delle storie di questa gente incontrata.
Ma forse, è che io non sono serba, ne’ ortodossa e non lo diventerò, magari non ne sarò semplicemente capace, anche volendo… Ma non sono neanche Italiana e cattolica. E mio padre altrettanto semplicemente, mi ha sempre detto soltanto “te vivi sempre come sei, ricordandoti che non sei sola, e ama come senti”. Ed io questo popolo lo sento… al di là delle incertezze e delle delusioni che incontrerò…
Samantha, 28 novembre 2010